PREFAZIONE
Una volta Annabella Rossi mi propose di fare una ricerca a Somma Vesuviana sull’interesse ” contemporaneo ” alle tradizioni popolari.
Mi spiegava che il tessuto arcaico della cultura sommese aveva una vitalità eccezionale e che la presenza sua e soprattutto di Roberto De Simone, frequentemente in contatto con Somma e con i rappresentanti della sua tradizione, stava creando un fenomeno di vitalità della cultura popolare molto interessante e in grado di spiegare molti fatti poco noti sulle trasformazioni culturali, sui rapporti tra cultura di massa e cultura tradizionale.
Allora ero distratto da altri interessi e confesso che non capivo fino in fondo il senso di una ricerca del genere. Oggi che capisco l’interesse estremo delle questioni che erano alla base, sono preso da altre cose, altri impegni che non posso interrompere a metà.
Ma continuo ad essere stupefatto per questa particolare condizione di Somma Vesuviana. Non ho dati scientificamente verificati, ho solo sensazioni, impressioni, intuizioni, materiale primitivo dunque, ma che si regge anche su comparazioni frequenti che sono portato a fare nei miei ansiosi viaggi sul territorio di una cultura non direttamente mia, ma così profonda che ha segnato i miei interessi culturali. E vedo così un Cilento pigro e forte sulle sue radici, un’Irpinia densa e convinta di essere un’unità omogenea, il Napoletano poi totalmente inconsapevole e totalmente dentro la forza della sua cultura che dirige, tra le altre cose, la trasformazione, anche a prezzo di rimanere strozzato da processi troppo violenti e devastanti. A Somma uno strano miracolo consente ciò che è raro altrove: una comunicazione tra quelli che si chiamavano ” i portatori ” della cultura contadina (con un’idea di fatica fisica dentro) e gruppi, intellettuali, forze vive del paese (penso, per esempio, al lavoro di animazione che sulla cultura tradizionale Giovanni Coffarelli e altri hanno svolto nella scuola elementare del I Circolo, grazie all’intelligenza della Direttrice didattica, Elisabetta Pace Papaccio). E cosi tra questi, Angelo Di Mauro, mio caro amico strano ricercatore. Sindacalista e poeta, funzionario di un ente statale e segugio delle tracce antiche e povere dei mondo popoare, gastritico in città egozzovigliante nelle occasioni rituali a Somma. dentro la trasformazione sociale e amico devoto di zi’ Gennaro (straordinaria figura di capo-paranza arcaico). Angelo non rinuncia a nulla della sua polimorfa figura quando scrive il libro. Anzi, quando compie la ricerca che lo porta scrivere il libro. Non vuole stendere in oggettive analisi i dati, vuole manipolarli secondo le sue emozioni, vuole farne materiale culturale vivo del suo approccio al mondo, che è approccio collettivo, direi, di migliaia di persone che come lui nel Sud vivono le centrifughe pluridentità personali. Questo mi è piaciuto, soprattutto, di questo dattilo-scritto di Angelo, su fogli grigi abituati a servizi burocratici.
Sì possono fare alcune cose oggi sulla cultura popolare. Ma un testo che formalizzi un vissuto di sensazioni ed emozioni nate dalla scoperta di una cultura cifrata, segreta, dell’infanzia, dunque troppa profonda per essere rifiutata in una o due generazioni, un testo che rappresenti drammaticamente questo incontro-conflitto tra la fiaba arcaica della visione del mondo perfetta e autoregolantesi del mondo popolare – in cui l’angustia dei vivere si proteggeva con la felicità circolare della cultura – e il rumore contemporaneo della perdita del ” centro ” – in un mondo che non è più mondo, cioè unità definita e definibile. in cui non c’è corrispondenza tra cultura ed esistenza se non nelle teorie o nelle memorie individuali, in cui tutto si organizza o riorganizza a partire dalla volontà individuale e con essa finisce, termina, si rompe -, un testo cosi, alla fine, è importante, più dei miei pensieri e del rimorso che ho, mentre concludo di aver mancato di sottolineare che in questa cultura popolare manca la capacità di assumersi la responsabilità del problema politico, la coscienza del controllo dei potere.
PAOLO APOLITO