Che la storia sia in fondo un insieme di racconti è ormai quasi un’ovvietà. Per quanto essa si vesta di metodi sistematici, di verifiche “oggettive”, il suo nucleo fondante rimane il raccontare storie. Ma che la geografia, anch’essa, sia un insieme di storie, è un’idea ben poco corrente. Se appena ci si libera la mente dall’idea astratta di un dato geografico inteso come un tutto fisico e isolato dal contesto umano, e si pensa invece alla geografia di un territorio come costruzione umana e storica, allora si ha chiaro che le trasformazioni e gli adattamenti che gli uomini hanno imposto alla Terra possono sì essere descritti con i metodi positivi delle scienze “esatte”, ma possono anche essere raccontati, o meglio fatti raccontare dagli uomini stessi che abitano la Terra e che a questa hanno impresso i segni della propria storia.
Però per far questo occorre che lo studioso si metta a camminare, anche a piedi, che attraversi fisicamente i territori della sua indagine, incontri gli abitanti e non si limiti alle carte. È ciò che ha fatto Angelo Di Mauro, percorrendo in lungo e largo il territorio di Camerota e quelli limitrofi, alla ricerca delle donne e degli uomini che vi abitano o vi abitavano e dei segni che hanno lasciato su quel territo- rio.
E lo si può immaginare, questo studioso camminatore, attraversare valli e boschi, sbucando all’improvviso ad un angolo di strada e chiedendo al sorpreso pastore come lo chiamano, loro, quel luogo e perché, quale storia celi, quale spiri- to del passato ancora vi aleggi. E poi andare nelle case, facendosi presentare da comuni amici, e nelle chiese e nei bar e per le strade. Si può immaginare il sospet- to di qualcuno, la meraviglia di qualche altro, qualche raro leggero segno di rifiu- to, tante accoglienze calorose ed amicizie e preghiere di ritorno e promesse.
Questo curioso studioso, che è anche poeta e dei poeti ha l’immaginazione che oltrepassa gli orizzonti chiusi dei geometri di simboli che sono spesso i filo- logi, ha deciso di “abitare” il territorio di Camerota per lunghi mesi, andandoci di frequente soprattutto d’estate. Ha deciso di farlo suo, non per chiudersi nel fortino privato della casa-vacanza, ma per rilasciare un filo di Arianna in grado di colle- gare antiche storie quasi scomparse a nomi ancora pronunciati, vite ancora vissu- te. E farne un grande, affascinante itinerario geografico, storico e memoriale. Elaborato “fisicamente”, con il proprio corpo, che ha steso il filo, passo dopo passo, balza dopo balea, memoria dopo memoria.mulini.
Basta scorrere, per capirlo, l’indice del libro, di cui una gran parte è articola la per “vie”, la via dei monaci, quella dei castelli, quella del lino, l’altra dei i e dei frantoi ed altre ancora. E ogni via, tanti incontri ed ogni incontro tante storie, riprendono colore e calore nelle pagine di Di Mauro, si fanno raccontare nel rac Queste ormai dimenticate vie, queste testimonianze mute di storie trapassate, conti degli uomini, delle donne, dei nipoti di nipoti di antichi abitatori. E così la fredda geografia di un territorio diventa spartito di antiche romanze di passioni, paure, tragedie, miserie e sogni, riscatti, improvvise e improbabili ricchezze di tesori incantati
Di Mauro fa parlare, ascolta. Non parla da solo, come fanno molti ricercato- ni che pur pretendono di raccontare storie di umanità. E le parole della memoria del esseri umani continuano a lasciare segni del loro passaggio di pastori o sono gli territorio se le va a trovare nei punti più impervi del territorio raccontato, dove ultimi testimoni dei segni del passato, boscaioli, pastori, contadini. E nel suo libro risuona un coro, numerose voci, un popolo intero. Sono loro che parlano e di tanto in tanto Di Mauro emerge dal silenzio attento dell’ascolto, per commentare, colle gare, a volte immaginare altro oltre le scarne parole raccolte.
Ma che egli non sia una sorta di cieco magnetofono di voci altrui o un neu- tro ripetitore di confuse e sovrapposte memorie residue, che sia invece un compat- to interprete della storia umana del territorio, e che sia convinto della necessità anche di una rigorosa filologia dei segni degli uomini, lo si capisce quando, finita la prima parte, dopo i suoi versi sul piacere della ricerca e dell’attesa serena di ciò che il futuro biografico riserverà, fa entrare il lettore in una parte di rigorosa e con- vinta filologia dei toponimi, di precisa sinossi di cronologie, di attento dizionario del dialetto. E allora nessuna “strada” rimane fuori dalla puntuale e sistematica alfabetica elencazione, insieme a tutti gli altri modi locali di chiamare gli atomi del territorio dei comuni intorno al monte Bulgheria, vero axis mundi di quel lembo del Cilento
E dopo aver attraversato corpi e fiati delle storie e delle memorie, ora il let- tore si trova catturato dai segni convenzionali e criptici del più coriaceo scrupolo di scrutatore di carte antiche. L’autore, che prima era stato farfalla dei boschi, ora è topo di archivio. La storia profonda del territorio – è la lezione che ci dà l’autore non può che essere risultato di viaggi tra gli abitanti e di scavi nella memoria depositata negli archivi.

Paolo Apolito Università degli Studi di Salerno